Originario dell'Asia orientale, il cerambicide dal collo rosso sta minacciando nuovi territori, dal Giappone all'Europa, dove è già stato segnalato in Germania e in Italia, dove è stato ritrovato in alcune zone della Campania, della Lombardia, del Lazio e della Toscana.

 

Il cerambicide dal collo rosso, nome scientifico Aromia bungii (Falderman), è un coleottero parassita del legno di molte specie di piante, in particolare di quelle del genere Prunus, tra cui peschi, albicocchi, susini e ciliegi, ma può attaccare anche olivi, melograni e pioppi bianchi, portandoli a morte in poco tempo.

 

Si tratta quindi di una seria minaccia per la frutticoltura e per il vivaismo, tanto che l'Unione Europea lo ha classificato tra i 20 insetti più pericolosi per il territorio comunitario.

 

La sua pericolosità è data soprattutto dalla sua adattabilità e dalle sue caratteristiche che ne rendono molto difficile la lotta.

 

Che cosa si può fare allora per contrastarlo? 

 

Attualmente è difficile rispondere a questa domanda, ma cerchiamo di farlo, anche con l'aiuto delle ultime pubblicazioni scientifiche.

 

Sicuramente la prima cosa da fare è conoscerlo e riconoscerlo. 

 

Da adulto, il cerambicide dal collo rosso è un coleottero piuttosto grande di circa 4 centimetri di lunghezza, con le antenne molto lunghe e il corpo di un colore nero lucido e con una fascia rossa tra il capo e il torace, da cui deriva il suo nome volgare.

 

Le larve invece sono apode, cioè prive di zampe, e negli ultimi stadi sono anch'esse molto grandi, di colore biancastro e con il capo tozzo e scuro; non è semplice distinguerle dal momento che assomigliano molto alle larve di altri coleotteri cerambicidi normalmente presenti nei nostri territori e generalmente innocui, come il cerambicide della quercia.

 

Il ciclo biologico è molto lungo: gli adulti volano nei mesi caldi, tra maggio e luglio, deponendo le uova da cui si sviluppano le larve che si nutrono del legno vivo, scavando ampie gallerie nel fusto e sfarfallando dopo 2 o 3 anni.

 

Ed è proprio la lunghezza del ciclo che spesso maschera per diverso tempo i sintomi dell'attacco, mentre il fatto che le larve vivano protette dentro il legno, ne rende difficile il controllo.

 

La prima difficoltà quindi sta proprio nell'individuare le piante malate in maniera tempestiva e poi nel cercare dei rimedi efficaci.

 

La prima forma di lotta, nelle località in cui viene ritrovato per la prima volta, sono le procedure per tentare l'eradicazione, che si basano sull'eliminazione di tutte le piante attaccate, sradicandole e distruggendole e mantenendo un monitoraggio costante della zona infestata e delle zone limitrofe.

 

In Cina sono stati provati anche mezzi fisici, come l'imbiancatura dei fusti con una mistura di calce, zolfo e acqua, in alcuni casi anche con l'aggiunta di un insetticida di contatto, o la fasciatura con garze e teli di zone della pianta in cui può avvenire l'ovideposizione, in particolare su ferite e spaccature del legno.

 

Si tratta però  di procedure laboriose e sulla cui efficacia i dati non sono certi.

 

Lo stesso vale per l'uso di trappole alimentari per catturare gli adulti, solitamente fatte con acqua, zucchero e aceto, che oltre ad avere un'efficacia incerta, sono attrattive e pericolose anche per molti altri tipi di insetti non dannosi o utili.

 

Più interessante è invece l'uso di trappole a feromone, in grado di attrarre sia i maschi che le femmine, anche se il loro uso è ancora a livello sperimentale.

 

Anche i trattamenti chimici non sono risolutivi. Per quanto vari principi attivi (dagli organofosfati, ai piretroidi, ai neonicotinoidi) siano di per sé efficaci su uova, larve e adulti del cerambicide, il loro uso in campo è difficile, sia perché le larve sono protette nel legno, sia perché la presenza dell'insetto può essere sporadica e difficilmente localizzabile, cosa che comporterebbe di fare trattamenti su larga scala, e quindi con altissimo impatto ambientale, per colpire pochi individui e magari non eliminarli nemmeno tutti.

 

Interessanti potrebbero essere i trattamenti con insetticidi sistemici mirati, iniettati nel legno delle piante attaccate, ma anche in questo caso il limite principale è quello di individuare per tempo le piante da trattare.

 

La lotta biologica territoriale, fatta introducendo gli antagonisti naturali del parassita presenti nelle sue zone d'origine, al momento non è praticabile perché i suoi principali parassitoidi, come il coleottero Dastarcus helophoroides o l'imenottero Scleroderma guani, non sono abbastanza specifici e possono attaccare anche molti altri insetti, rendendo troppo rischiosa, oltre che probabilmente poco efficace, la loro introduzione in altre zone del mondo, Europa compresa.

 

Altri metodi di lotta biologica invece possono essere usati, come l'utilizzo di funghi parassiti, come Beauveria bassiana, o di nematodi parassiti come Steinernema carpocapsae e Steinernema feltiae.

 

Oltre a questi organismi utili, una certa attività di contrasto possono averla anche i predatori generici, come alcune formiche e alcuni uccelli, primi tra tutti i picchi. Ma al momento questi organismi utili non sono sufficienti a risolvere il problema.

 

Lo strumento più efficace quindi, per ora, resta la sorveglianza e il monitoraggio, che viene ovviamente fatto dalle autorità competenti, ma che deve essere affiancato anche dalle osservazioni di agricoltori e tecnici, che sono tenuti a segnalare tutti i casi sospetti ai servizi fitosanitari del territorio.

 

Materiale di approfondimento consigliato

"Biology, impact, management and potential distribution of Aromia bungii, a major threat to fruit crops around the World" - Harrocks et al., 2024

"Effects of neonicotinoid insecticide trunk injections on non-target arboreal ants, potential biological control agents for invasive longhorn beetle Aromia bungii on cherry trees" - Sunamura et al., 2023

"Optimizing pheromone-based lures for the invasive red-necked longhorn beetle, Aromia bungii" - Zou et al., 2019